Mary COTUGNO

MI SONO VESTITA DI FUOCO

Prima raccolta di poesia di Mary Cotugno – “Mi sono vestita di fuoco. Versi di amore, di inquietudine, di ardimento e di speranza

“Mi sono vestita di fuoco”. Dalla prefazione di Maria Pia Dell’Omo:

Da una sottile ribellione muove la poetica di Mary Cotugno, tesa a «rendere tangibile» […] l’ «ardente sognare/ di convertire all’umano il disumano». Eterea, talvolta velata di ombre, la sua sembra una figura di sirena connotata da caratteri “eerie” che bramano venire alla luce. Cenere sotto le braci. Usando le parole di Mark Fisher: «La tranquillità tanto di frequente associata all’eerie — si pensi all’espressione “eerie calm” (“calma inquietante”) — ha a che vedere con il distacco urgente dal quotidiano. La prospettiva dell’eerie ci può dare accesso a forze che governano la realtà ordinaria, ma che sono normalmente nascoste, così come spazi del tutto al di là della realtà ordinaria. È questa liberazione dall’ordinario, questa fuga dai confini di ciò che normalmente consideriamo realtà che spiega almeno in parte il suo fascino speciale».

Mi sono vestita di fuoco” è una silloge screziata di elementi molteplici, presentati al lettore nel «dolce conforto della pacifica convivenza/ tra il bianco e il nero/ tra cielo e terra» (Armonia degli opposti). Questo intento investe il linguaggio utilizzato, moderno con lampi di antico, sospeso tra due dimensioni. Dai versi emerge un autoritratto femminile, anch’esso dicotomico, che fa del desiderio il suo motore primo: nella tensione dell’io lirico vi è, in nuce, l’anelito simultaneo alla congiunzione e alla distruzione.

Da un lato, la bramosia di rivoluzionare le geografie delle relazioni con il dono dell’empatia («Ho notato una umanità convulsa,/ virtuale,/ cannibale», da Universo in lutto; «accolgo senza farmi giudice», da Assimilarmi) , dall’altro il vagheggiare azioni intrise di forza con la speranza di riuscire a figurarsi una umanità migliore, da riscattare («danzo scalza sui coltelli/ dei maligni», da Guerriera).

L’autrice si dipinge come un creatura al confine col ferale e ciò che è reietto (“animale”, “bastarda”), che vive una certa fascinazione per ciò che appare anche diruto e deforme (Cartolina vintage) o che non ha trovato spazio in altre narrazioni (Fuori dal coro).

I colori di questa poetica si alternano a pensieri delicati e di indole contemplativa e allo spazio amorevole lasciato agli elementi della natura. Altro elemento che la poeta ci offre è lo spioncino su un certo erotismo guizzante (Sadica), venato talvolta di malinconia: «Da quella notte si reitera nella pelle/ l’amorevole delitto della tua distanza» (La farsa).

Esordisce con questa raccolta (Mi sono vestita di fuoco), Mary Cotugno, e lo fa in una maniera trasparente, dove anche la scelta di titoli molto lunghi per componimenti brevi rivela il desiderio di comunicare qualcosa di ulteriore, come se fosse necessario al suo scavo nelle parole continuare a dire dopo aver detto. Se si potesse custodire un’unica rappresentazione di questi versi, sarebbe il fermo immagine di un ariete pronto a scagliarsi contro una porta che non ha ancora abbattuto, immortalato nell’ardire della sua passione (si veda Partita a scacchi con la nera signora).

O la pacata immagine di acque carsiche che, nella loro quiete, si inoltreranno nella pietra che le costringe. Arriverà l’atto alla sua compiutezza? Non resta che fantasticarlo, perché la risposta potrebbe dissolvere il desiderio custodito in questi versi.

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