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Gaza, Isreaele, Hamas, e la disumanizzazione del nemico

L’articolo non è a carattere scientifico, è senza apparato di note e vuole semplicemente fare un po’ chiarezza su avvenimenti e fatti che stanno accadendo in Medioriente. Si rimanda al lettore l’approfondimento sui singoli argomenti e fatti che lo possono incuriosire, l’articolo vuole solo illustrale il quadro generale di quanto accade.

Dopo molto attendere, le forze armate israeliane hanno incominciato l’operazione di terra nel territorio di Gaza settentrionale. L’IDF (Israelian Defense Force), sta ora usando ogni genere di arma a sua disposizione, carrarmati merkavah, cecchini, droni, bombardieri armati con bombe a grappolo e al fosforo (quest’ultime illegali per il diritto internazionale) contro i territori palestinesi, riversando tutta quella enorme potenza di fuoco direttamente sugli insediamenti di Gaza nord, dall’altissima densità abitativa – in un territorio grande quanto mezzo comune di Roma -, noncuranti della presenza di civili e di strutture non militari quali ospedali, moschee, case, scuole o cliniche. Il numero di morti civili è altissimo. Dal 7 ottobre le stime, secondo il Ministero della Sanità palestinese, sarebbero oltre 24mila morti e 61mila feriti (di cui almeno 10.000 bambini). L’affidabilità del dato è stata verificata da Action on Armed Violence (AOAV), ente di beneficenza che si occupa dell’analisi e del monitoraggio dei danni causati dai conflitti bellici.

In seguito all’attacco di Hamas a Israele avvenuto all’inizio di Ottobre scorso, denominato ‘’operazione Al Aqsa Flood’’, infatti, Israele ha deciso di applicare una dottrina militare (ma che trascende la mera questione militare) secondo cui, chiunque sia palestinese su territorio contiguo a Israele, ed abiti in Gaza o nelle vicinanze di strutture considerati appartenenti ad Hamas (cioè dove si presuppone ci siano tunnel in cui nasconderebbero i guerriglieri), è considerato come non più appartenente al genere umano, cioè è ridotto ad un essere dalle sembianze umane, non avente né diritti politici o umani, né dignità, creatura su cui si può fare di tutto e con cui si può sperimentare di tutto, completamente alla mercé di un potere politico-militare i cui interessi strategici e di sicurezza si sono completamente saldati a sentimenti di odio e supremazia dichiarati. La situazione è tragica, e la violenza di Hamas, che rispondeva in maniera altrettanto brutale, a decenni di repressione, angherie ed oppressione da parte del governo israeliano verso il popolo palestinese negli ultimi settant’anni, ha scatenato una reazione di Israele completamente priva oramai di logiche militari razionali (e dunque in qualche modo controllabili e moderabili, facenti riferimento al diritto internazionale a cui tutte le nazioni dovrebbero sottostare).

Alcuni movimenti politici interni a Israele, al tempo dell’invasione del Libano di vent’anni fa, già allora avevano pensato a una dottrina del genere, considerata come una sorta di soluzione finale per il problema del popolo palestinese, ma che non era mai stata applicata, almeno non integralmente. Gli stessi ufficiali americani in visita di addestramento presso le accademie militari israeliana, anni fa, erano rimasti esterrefatti dall’idea che in Israele si pensasse di applicare per davvero questa dottrina bellica contro i loro nemici. Adesso, purtroppo, sotto il governo ultra nazionalista del primo ministro Netanyahu, il governo israeliano e le sue forze armate hanno deciso di passare dalla teoria alla piena applicazione di questa dottrina, la quale, dunque, si appalesa più essere un piano esecutivo dello Stato che una dottrina militare vera e propria. Purtroppo, esso prevede le demolizione totale del popolo palestinese, poiché il confitto scatenato da Israele contro Gaza, non ha come obiettivo il semplice abbattimento di Hamas – cosa in sé che avrebbe ancora senso anche dal punto di vista militare – ma ha l’intero popolo palestinese in quanto tale come nemico da abbattere.

Questa guerra è una guerra contro la Palestina tout court. Stiamo di fronte alla volontaria decisione di calpestare il diritto internazionale, il buon senso e i limiti del potere militare, per pura volontà di violenza: non c’è nessun obiettivo militare che possa infatti giustificare il continuato bombardamento contro strutture civili, case e scuole, ammazzando migliaia di persone rei di essere solamente palestinesi. E’ oramai chiaro che c’è una volontà di eliminare fisicamente quanti più palestinesi possibile durante queste campagne, con l’intenzione di costringere i palestinesi a lasciare il territorio natale, e imporre alle Nazioni Unite il dato di fatto del controllo totale della regione. Mai si era visto, dai tempi della Seconda guerra mondiale, da parte di uno stato, considerare un popolo intero come suo nemico, e usare un tale accanimento verso un’etnia che, ricordiamolo, non possiede né un esercito per difendersi, né uno stato con cui governarsi. Israele, però, ha scelto una strada che alimenterà, nei decenni futuri, sia le milizie palestinesi di resistenza, sia eventuale terrorismo islamico ed arabo, che sicuramente avrà pesanti ripercussioni sulla sicurezza dello stato israeliano stesso per decenni ancora: i bambini palestinesi che oggi si vedono massacrare i propri parenti e compagni, un domani saranno miliziani che Israele dovrà affrontare e non è detto che riesca a gestire come i fatti dell’ultimo mese e mezzo dimostra. Si alimenta, dunque, la violenza futura da cui non è detto che Tel Aviv possa per sempre difendersi. Inoltre, in tutto il mondo, l’opinione pubblica dei popoli, si è schierata decisamente contro Israele – basti vedere le enormi manifestazioni di solidarietà ai Palestinesi di questi giorni in Occidente e nei paesi arabi -; mentre a livello internazionale ci sono sempre più malumori degli altri Stati verso un tale scellerato modo di operare.

Persino nella filo-israeliana Europa, alcuni ministri e vice presidenti di paesi come Spagna e Belgio iniziano a chiedere sanzioni contro il governo di Tel Aviv. Un summit d’emergenza dei paesi arabi, tenuto di recente in Arabia Saudita, ha condannato l’operazione militare israeliana – ma si sono astenuti di operare in difesa della Palestina, a parte l’invio di alcuni aiuti umanitari in loco e chiedendo di togliere il blocco israeliano su Gaza. Erdogan, discusso presidente islamo-capitalista della Turchia, ha condannato Israele per crimini contro l’umanità ed ha ritirato l’ambasciatore della repubblica turca da Tel Aviv, atto certamente simbolico, ma che ha il suo peso internazionale ed inoltre è un precedente anti israeliano che potrebbe essere replicato da altre nazioni. L’etnocidio (dai tratti sempre più criminosi) che Israele sta dunque perpetrando volontariamente e in maniera pianificata a danno dei palestinesi, dovrebbe essere la risposta alle stragi di Hamas del mese scorso. Come prima accennato, l’operazione Al Aqsa Flood (Diluvio Al Aqsa) è stata la scintilla di questa invasione di Gaza e del incrudelimento dell’assedio di quel territorio sventurato. Essa trae nome dalla moschea Al Aqsa di Gerusalemme, considerata sacra da tutti i musulmani nel mondo, ma di cui i palestinesi si considerano un po’ collettivamente custodi, simbolo della loro esistenza in quel territorio che gli israeliani lentamente hanno rosicchiato.

L’attacco di Hamas è stato il più forte e vasto attacco dai tempi delle guerre dei paesi arabi contro Israele: oltre ottomila missili korvet sono stati usati per attaccare le città israeliane, mentre i miliziani di Hamas e di altri gruppi minori hanno eseguito un attacco via terra – il primo della storia della palestina – direttamente nel territorio israeliano che cinquant’anni prima era palestinese. Si badi bene che on tutti i territori palestinesi hanno partecipato al conflitto, ma per lo più la regione di Gaza: i territori della Cisgiordania, infatti, sono sotto l’autorità palestinese, la quale è finanziata da Israele e tende a essere piuttosto passiva verso il potente vicino. L’attacco, comunque sia finito militarmente in un insuccesso per Hamas (non si aspettavano diversamente), ha dimostrato al mondo intero che Israele è vulnerabile, e che l’IDF non è una forza militare invincibile, se soldati mal armati, usanti droni comperati su Amazon, e razzi vecchi senza dispositivi di guida, sono stato in grado di sconvolgere le difese antimissile (la famosa Irondome israeliana, concessagli dagli USA) di Tel Aviv, e causando il più grande tasso di morti israeliani del conflitto con la Palestina – purtroppo, anche qui, la cosa ha colpito per lo più i civili, causando l’ondata finale di risentimento di buona parte dell’opinione pubblica israeliana e dei paesi occidentali. Questo colpo, durissimo, ha sconvolto le opinioni pubbliche di tutto il mondo, e ha distrutto il grande orgoglio e la presunzione di intoccabilità che ha sempre contraddistinto l’élite politico-militare di Tel Aviv. Hamas, ovviamente, non ha organizzato la cosa in due giorni. La pianificazione sembra che abbia coinvolto circa due anni. Equipaggiamenti sono stati acquisiti su mercati neri e su Amazon, soldi e forniture speciali, vengono dal Qatar e dall’Iran, assieme a medicinali e cibo per la striscia di Gaza.

La sede ufficiale di Hamas è in Qatar, che li ospita da oltre trent’anni, e li finanzia, così come alleato internazionale di Hamas e di altre strutture simili è l’Iran, il grande nemico geopolitico di Israele. Hamas è una organizzazione islamista non jihadista, che vede nell’Islam politico il futuro per il popolo palestinese. Il suo orizzonte culturale è dunque lo stesso dei Fratelli Musulmani in Egitto (da cui sono sostenuti), che credono che solo la realizzazione di stati Islamici confessionali ma nazionali, possa garantire a gente araba e popoli islamici la possibilità di vivere adeguatamente nel mondo moderno così caotico e anarchico dopo l’era sovietica e la guerra fredda. Hamas, in effetti, non ha idee tanto diverse da quelle del partito ultranazionalista e di destra liberista di Netanyahu, essendo entrambi frutto di una interpretazione politica della loro religione, entrambi, cioè, sono una forma di conservatorismo militante e religioso, dai tratti nazionalistici. Oltre trent’anni fa, Hamas non contava molto in Palestina, poiché allora era l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) a governare su quei territori, associazione araba e islamica ma laica, non confessionale e di ispirazione socialista, che guardava ai governi panarabi di Egitto, Iraq e Siria come suoi modelli (era l’era di Nasser e di Al Assad padre). Per poter indebolire proprio l’OLP – che non controllava, allora – Israele stesso finanziò per certo tempo Hamas, favorendone la sua ascesa al potere nei territori palestinesi. Hamas, infatti, oltre all’impegno islamico e militante nazionale, si prende cura – grazie ai fondi qatarioti – della popolazione di Gaza, garantendo sicurezza, cibo, scuole ecc. che normalmente sarebbe lo Stato a garantire, colà inesistente. Questo spiega perché nella striscia di gaza Hamas è così ben radicato. La crescita di Hamas fu dunque un risultato di più contingenze: da una parte Israele che voleva indebolire l’OLP, dall’altra, l’Iran, che voleva alleati nella regione. Alla conferenza di pace di Madrid, inizi anni novanta, non furono invitati gli iraniani, unici tra i paesi mediorientali. A organizzare e volere la conferenza furono gli USA di Clinton, che si illudevano di imporre dall’alto un ordine internazionale sorretto dalla potenza militare a stelle e strisce. L’insoddisfazione per la mancata partecipazione degli iraniani, convinse la leadership (e forse anche il popolo) a non fidarsi degli USA e a cercare alleati con cui contrastare l’egemonia americana nella zona – dopo la prima guerra del golfo nel 1991- e contro la forte presenza israeliana che condizionava la politica estera di mezzo mondo islamico. Ecco che la Repubblica Islamica dell’Iran trovò alleanze anche in Hamas, e incominciò finanziarli. Ovviamente, le alleanze sono di convenienza, come solito, non sono su basi solo ideologiche. Hamas, nella guerra civile siriana, scatenata dalla pesante ingerenza delle potenze occidentali e delle petro-monarchie del golfo persico in quel martoriato paese, si schierò col fronte jihadista sostenuto da Qatar (rieccolo), Arabia Saudita e, niente meno, i paesi Occidentali (compreso Israele); dall’altra parte, c’erano l’Iran, Hazbollah (libanese), Iraq (governato adesso dagli scīti) e Russia. Dopo il 2014, Hamas e Iran si sono riavvicinati. Perché, però, Hamas ha deciso di attaccare proprio all’inizio di Ottobre, dell’autunno? Per motivi politici. Difatti, – e qui chiedo scusa per la complessità, ma lo scenario mediorientale è complesso – Israele e Arabia Saudita si erano già accordati tra loro (patto d’Abramo, sottoscritto nell’anno in corso) con cui i due paesi normalizzavano i rapporti e iniziavano a collaborare – i Sauditi vogliono le centrali atomiche, e Israele glie le fornirà, in cambio di petrolio a buon prezzo per Israele -; negli stessi mesi, l’Iran e l’Arabia Saudita, da sempre nemici nel territorio mediorientale, grazie alla mediazione cinese, hanno sottoscritto un altro patto, con cui hanno posto fine alla rivalità violenta tra le due nazioni (la guerra civile in Yemen, il massacro saudita di centomila Houthi yemeniti sono conseguenze della rivalità tra le due potenze regionali mediorientali, fatti di cui in Europa nessuno sa niente). Tutti questi ‘’balli’’ tra potenze locali, avevano letteralmente annullato ogni importanza della Palestina nelle cancellerie internazionali. La Palestina, cioè, stava sparendo dai radar degli interessi degli altri paesi, e si avviava a una lenta e dolora sparizione etnica nel suo stesso territorio. Per Hamas, e per i Palestinesi, il costante avvicinamento tra potenze arabe e Israele era pericolosissimo, significava non avere nessuno spazio di manovra politica, né avere aiuti da qualcuno. Inoltre, l’avvicinamento Iran-Arabia Saudita alimentava uno scenario completamente diverso, in cui la Palestina non era contemplata. La leadership di Hamas, volendo raggiungere come scopo la rottura tra paesi arabi e Israele, ha deciso proprio l’inizio di Autunno per iniziare l’attacco, sapendo anche della distrazione totale delle forze di difesa israeliane in quel momento (nonostante il Mossad, il servizio segreto israeliano, sia considerato il miglior servizio segreto del mondo, anche Hamas ha i suoi agenti in loco). Infine, è certamente pesato, nel calcolo di Hamas, anche un altro elemento di cui si tiene troppo poco conto: il conflitto tra NATO e Russia in Ucraina, o, come si dice nel gergo mediatico occidentale, il conflitto russo-ucraino. Questo conflitto, infatti, durato già purtroppo oltre un anno e mezzo, ha dimostrato alla fine una certa debolezza e stanchezza dell’Occidente, le cui superarmi non hanno ottenuto il successo sperato, e che, invece della rapida vittoria di Kiev, ha comportato costi immensi per l’intera NATO e una recessione economica preoccupante per l’UE: risultati che tutto il mondo ha visto, così come è stato visto il progressivo indebolirsi della egemonia americana sul pianeta. E’ chiaro che Hamas, o meglio la sua leadership che opera dal Qatar (non è sotto le bombe), abbia pianificato l’attacco sulla base di tutti queste riflessioni. Rimane il problema dei territori palestinesi. In tutto questi anni, Israele non ha rispettato i trattati internazionali che volevano la creazione di due stati nella regione, uno arabo e uno israeliano. Quei trattati, che risalgono al lontano 1967, oggi sono lettera morta. Israele non vuole uno stato palestinese, vuole tutto il territorio per se, e vuole che i palestinesi se ne vadano dalla Palestina per sempre, disperdendosi tra Medioriente e Europa: il piano finale su Gaza, prevede che almeno un milione di Gazawi siano costretti a spostarsi in Egitto, che questo paese lo voglia o no, o che i palestinesi lo vogliano o no. Ed anche questa durezza di Israele, il rifiuto di rispettare i trattati internazionali, l’etno-nazionalismo, l’uso di maniere forti, i crimini dei coloni in Cisgiordania, ad aver alimentato a sua volta il fanatismo di Hamas e ad aver creato nel cuore dei palestinesi un odio feroce, uguale a quello che a quanto pare molti israeliani hanno deciso di provare per i loro vicini, purtroppo, adesso non più considerati umani e dunque meritevoli di essere bombardati senza nessun umana pietà.